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Cellule staminali per il trattamento della retinite pigmentosa

Alcuni ricercatori sudafricani stanno usando le cellule staminali nella ricerca contro la retinite pigmentosa, una malattia degenerativa degli occhi. Lo studio prevede la riproduzione in vitro di tessuti danneggiati, così da capire quali mutazioni genetiche stanno alla base dei disturbi che la caratterizzano e ripararle.

La nictalopia, la visuale limitata ed eventuali indebolimenti della vista sono sintomi della retinite pigmentosa. La retinite colpisce una persona ogni 3500 in tutto il mondo e ha molte facce. È infatti caratterizzata da problemi della vista di tipo molto diverso tra loro, sia da un punto di vista clinico che genetico.

La retinite pigmentosa è associata con mutazioni in più di 280 geni, ereditabili da uno o entrambi i genitori. Talvolta si manifesta da sola, altre in concomitanza con altri disturbi come la sindrome di Usher, che comporta la perdita dell’udito. È collegata sia ad anomalie neurosensoriali o dello sviluppo, sia ad altri disagi sistemici come il diabete.

La ricerca sudafricana si starebbe concentrando in particolare su un gene identificato nel 2004. Questo gene, coinvolto nelle funzioni che convertono le proteine nel nostro corpo, sarebbe assente nelle persone con i suddetti disturbi della vista.

Lo studio viene effettuato a partire da cellule staminali pluripotenti, convertite in vitro in fotorecettori e in cellule dell’epitelio pigmentato retinico. A questo punto si usano le istruzioni genetiche per fare un’analisi del prodotto del gene studiato. In questo modo si mettono in luce gli effetti della mutazione, così da capire perché i disturbi si manifestano e in che modo si evolvono.

Una volta accertata la causa genetica del disturbo, sarebbe teoricamente possibile correggere la mutazione in vitro e trapiantare nel paziente il tessuto sano e scevro dalla mutazione.

I test clinici sono in corso in diversi paesi, ma si è ancora agli inizi. Bisogna prima di tutto accertare la sicurezza della procedura e la sua efficacia. Sono inoltre ancora da verificare gli effetti sul lungo periodo.

Fonte: health24.com

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