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Nuova terapia per l’anemia a partire dalle cellule staminali del sangue

Una ricerca spagnola avrebbe fatto luce sul meccanismo di invecchiamento delle cellule staminali responsabili della rigenerazione delle cellule del sangue. La scoperta potrebbe aprire la strada a nuove terapie per il controllo dell’anemia aplastica, uno degli effetti collaterali più comuni della chemioterapia. Lo studio verrà pubblicato a breve sulla rivista “Nature Communications”.

La ricerca ha come basi uno studio internazionale dell’Università della California pubblicato su “Nature”. Lo studio statunitense aveva individuato il meccanismo di invecchiamento, senza però riuscire a riprodurlo in laboratorio. Gli studiosi spagnoli, invece, hanno replicato il fenomeno in alcuni embrioni di topo. Per farlo, hanno ridotto i livello del gene MCM3, ovvero uno dei componenti del MCM, il responsabile della divisione della doppia elica del DNA durante la sua riproduzione.

Quando una cellula si riproduce, crea una copia esatta del proprio genoma da dare alla cellula figlia. Il genoma copiato sarà a propria volta passato alle future cellule figlie e così via. Fin tanto che le cellule mantengono un alto livello di MCM durante la copia del DNA, non ci sono problemi. Quando invece il livello si abbassa, la replica del DNA risulta imperfetta e si verificano dei danni irreversibili nel genoma delle nuove cellule. Il genoma danneggiato verrà a propria volta trasmesso alle future cellule figlie.

Il fenomeno interessa in particolare le cellule staminali del sangue e, nello specifico, alle cellule precursori dei globuli rossi. Negli adulti la produzione di globuli rossi avviene nel midollo osseo, ma durante lo sviluppo embrionale si verifica principalmente nel fegato. Gli studi sul modello animale hanno dimostrato che, negli esemplari gravidi affetti da deficienza di MCM3, le cellule staminali del fegato dell’embrione sono deteriorate. L’embrione sviluppa quindi una grave forma di anemia e tende a nascere morto. Il motivo sta nella riproduzione imperfetta del genoma delle cellule fetali, che risultano vecchie già prima che l’animale nasca.

I ricercatori sarebbero riusciti a prevenire il fenomeno aumentando il livello del gene CHK1. Questo gene protegge le cellule dai possibili danni in corso di riproduzione. Quando qualcosa non va come dovrebbe, il CHK1 rallenta la divisione delle cellule fin quando il problema non è stato risolto. Aumentandone il livello, si andrebbe a contrastare gli effetti del calo di MCM3.
Fonte: news-medical.net

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Badalà/Lombardo (Cliente Sorgente)

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