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Cellule staminali nel cervello contro le malattie rare

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Nella terapia genica si correggono le cellule staminali ematopoietiche del paziente e le si iniettano endovena. Un nuovo approccio arriva dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) dell’Ospedale San Raffaele e del Boston Children’s Hospital/Dana Farber Cancer Institute di Harvard. Gli studiosi hanno iniettato le cellule staminali direttamente nel cervello di cavie affette da malattie rare e neurodegenerative. In questo modo hanno stimolato la produzione delle sostanze e delle cellule carenti o assenti.

Le cellule della microglia hanno un ruolo fondamentale in molte malattie neurodegenerative. È frequente che l’assenza di un enzima impedisca loro di funzionare a dovere e di eliminare le sostanze di scarto. Le sostanze si accumulano e pian piano uccidono i tessuti, provocando la neurodegenerazione.

Per risolvere il problema, non basta somministrare l’enzima mancante. Il cervello ha una barriera che l’enzima iniettato endovena non riesce a superare. Le cellule della microglia rimangono quindi prive dell’enzima e la neurodegenerazione continua. La terapia genica serve a risolvere questo problema alla radice.

I medici prelevano le cellule staminali ematopoietiche dal midollo osseo del paziente. Correggono i pezzi di DNA sbagliati e fanno in modo che producano l’enzima mancante. A questo punto le iniettano di nuovo nel paziente endovena, lasciando che il sistema circolatorio le trasporti fino al cervello. Una volta arrivate, rilasciano la versione corretta della proteina, che cura le cellule nervose.

L’approccio tradizionale si è dimostrato efficace ma lento. I risultati della sperimentazione in corso sono ottimi, ma le cellule staminali hanno bisogno di tempo per attecchire. Ciò significa che la terapia è efficace solo sui pazienti ancora asintomatici. Il nuovo studio, invece, mira a tagliare i tempi iniettando le cellule staminali direttamente nei ventricoli cerebrali. Questo ne accelera il processo di attecchimento, dando una speranza anche a chi ha già mostrato i primi sintomi.

Fonte: healthdesk.it

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