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Gene editing e cellule staminali anti-rigetto

Potrebbero aprirsi nuove, interessanti, prospettive nel campo del «gene editing», ovvero quelle tecniche di manipolazioni del Dna al centro di una vera – e molto dibattuta – rivoluzione. Secondo quanto riportato da notizie di agenzia, un team di ricercatori della University of California di San Francisco, guidati da Tobias Deuse, avrebbe ottenuto le prime cellule staminali anti-rigetto: rese «invisibili» al sistema immunitario, che in questo modo non le rifiuta, grazie alla tecnica Crispr che taglia e incolla il Dna.

In futuro potrebbero essere usate per terapie di medicina rigenerativa universali, adatte cioè a qualsiasi paziente. A indicarlo sono i primi test di laboratorio fatti con cellule umane e di topo nell’Università della California a San Francisco, pubblicati su Nature Biotechnology. Le cellule anti-rigetto sono cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), cioè cellule adulte tornate bambine grazie alla riprogrammazione del loro Dna. Considerate il Sacro Graal della medicina rigenerativa per la loro straordinaria capacità di differenziarsi in cellule di vari organi e tessuti, vengono solitamente coltivate in provetta a partire da cellule adulte prelevate dallo stesso paziente, in modo da evitare il rischio di rigetto dopo il trapianto. Questo approccio personalizzato, però, presenta molte problematiche: oltre a essere lungo e costoso, non è neppure facilmente riproducibile, perché molte cellule prelevate dai pazienti risultano refrattarie alla riprogrammazione.

Per superare questi ostacoli, i ricercatori californiani hanno pensato di trasformare le staminali indotte in cellule universali: lo hanno fatto disattivando tre geni essenziali per il riconoscimento della cellula da parte del sistema immunitario. L’esperimento è stato condotto su cellule di topo e umane, che hanno dimostrato di non causare rigetto una volta impiantate in topi con il sistema immunitario perfettamente funzionante. «Questa è la prima volta che vengono ingegnerizzate cellule che possono essere universalmente trapiantate e che riescono a sopravvivere in riceventi immunocompetenti senza scatenare una risposta immunitaria», spiega il primo autore dello studio, Tobias Deuse. Dopo questo primo successo, le staminali «invisibili» umane sono state coltivate in provetta e trasformate in cellule del cuore: impiantate in topi con un sistema immunitario parzialmente umanizzato, hanno dimostrato una lunga sopravvivenza e hanno formato rudimentali vasi sanguigni e un abbozzo di muscolo cardiaco, suggerendo la possibilità di essere utilizzate in futuro per la rigenerazione del cuore.

Un passo avanti importante 

Un passo avanti importante, che, sia pur con le cautele del caso, ispira un certo ottimismo. Il professor Carlo Alberto Redi, ordinario di Zoologia del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Lazzaro Spallanzani” all’ Università degli Studi di Pavia commenta: «Si tratta di un lavoro scientifico molto serio. È un passo avanti per la medicina personalizzata, un passo di rilievo poiché ottenere cellule staminali pluripotenti che non vengono rigettate dal paziente e che sono in grado differenziarsi in tutti i tipi di tessuti permetterà pratiche di terapie cellulari di medicina rigenerativa (in questo caso si è provato su cellule del cuore). I tempi di traslazione dal laboratorio al letto del paziente non siamo in grado di immaginarli ma la scienza avanza così».

Fonte: Nature Biotechnology riportato da il Corriere della Sera

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