più contagiosa e meno sensibile agli anticorpi sviluppati dai vaccini, meno cattiva della Beta
Sono i risultati di uno studio internazionale appena pubblicato sulla rivista Nature coordinato da scienziati dell’Università di Cambridge. I test sono andati a verificare le ragioni della predominanza di Delta che ha spazzato le altre varianti diventando ovunque prevalente al mondo (solo in Sud America ancora non lo è del tutto, ma i calcoli fanno presupporre che lo diventerà): a oggi è responsabile di circa il 90 per cento dei nuovi casi di Covid-19 al mondo e di oltre il 99 per cento di quelli diagnosticati in Europa. Probabilmente il «nuovo SARS-CoV-2» adesso è la Delta.
I risultati con siero guariti e vaccinati
Le analisi sono state condotte in vitro su siero di persone precedentemente infettate con il ceppo originario del SARS-CoV-2 (il cosiddetto «Whuan») nella versione più infettiva circolata in Europa (quindi con la mutazione D614G), per intendersi, il virus della prima ondata italiana del febbraio 2020. I singoli numeri da laboratorio, quindi, possono essere meno indicativi rispetto a quanto poi succede nel mondo reale. In vitro, la Delta è risultata 6 volte meno sensibile agli anticorpi neutralizzanti del siero degli individui guariti da Wuhan.
Allo stesso modo, la Delta è risultata in vitro 8 volte meno sensibile agli anticorpi suscitati dai vaccini Pfizer e AstraZeneca: i titoli di neutralizzazione contro Delta erano inferiori in AstraZeneca rispetto a Pfizer.
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ToggleI ricercatori hanno valutato anche l’effetto di Delta sull’efficacia del vaccino (AstraZeneca) contro l’infezione sintomatica negli operatori sanitari indiani (in tre ospedali) rispetto ad altri lignaggi e hanno visto che la probabilità di contagio aumentava di più di 5 volte.
Nonostante alcuni studiosi suppongano per Delta la possibilità di maggiore patogenicità anche in soggetti vaccinati, nei tre centri esaminati in India con i test sugli operatori sanitari è stato notato come età media e durata dell’infezione delle persone infette da Delta rispetto a quelle infette con altre varianti fosse simile e «senza alcuna prova che Delta fosse associata a un rischio più elevato di ospedalizzazione». La Delta farebbe ammalare di più (contagia di più) ma non in maniera più «cattiva».
I ricercatori di Cambridge hanno anche misurato la capacità di trasmissione della Delta e cercato di spiegare le ragioni della sua maggior infettività (pari a 40-60 per cento in più della variante Alfa, a sua volta 50% più contagiosa del virus Wuhan). È stata riscontrata maggior efficienza in «entrata» della Delta grazie a una maggiore capacità della proteina Spike di agganciarsi alla cellula e aprire la strada all’ingresso del virus; una volta dentro la cellula, poi, la variante sembra anche in grado di replicarsi meglio. La maggiore infettività potrebbe essere dovuta a più alta carica virale o maggiore infettività delle particelle stesse.
Da notare, a margine di questo stesso studio, due punti importanti.
Gli esami hanno mostrato una ridotta sensibilità della Delta anche nei confronti di alcuni anticorpi monoclonali: gli studiosi in particolare rilevano che la ridotta efficacia di uno di essi, imedevimab (utilizzato anche in Italia), contro la variante, potrebbe tradursi non solo in una minore efficacia clinica per i pazienti sottoposti a trattamento, ma anche in un’aumentata possibilità che, dove vi siano pazienti con compromissione immunitaria e un’infezione cronica da SARS-CoV-2, si selezionino «varianti di fuga» potenzialmente pericolose.
Infine, negli stessi test di neutralizzazione post vaccino, i ricercatori ribadiscono che la variante che si è dimostrata più «cattiva» è sempre la Beta (sequenziata la prima volta in Sudafrica) con perdita di sensibilità alla neutralizzazione di 8,2 volte rispetto al virus Wuhan. Questa variante è finora la peggiore rispetto ai vaccini, ma non ha capacità di trasmissione elevata e di fatto è stata soppiantata dalla Delta.
Fonte: Corriere della Sera, Nature
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