Aspettare un bambino non è una malattia, ciononostante ci sono tanti esami da fare in gravidanza, troppi, direbbe qualcuno. Sarà davvero così? Tutte queste analisi del sangue ed ecografie sono davvero necessarie per mamma e bambino?
Viviamo in tempi fortunati per le donne incinte e per i neonati: un tempo aspettare un bambino era davvero un grosso rischio, talvolta addirittura mortale. Se oggi le cose sono cambiate, è in buona parte merito di tutti questi esami. Fatti nei modi e nei tempi giusti, consentono di individuare le criticità prima che diventino un pericolo o che causino l’insorgere di una malattia.
Indice
TogglePrima di procedere con un’analisi dettagliata degli esami da fare in gravidanza, vediamo quando vanno fatti trimestre per trimestre.
Tra la 1a e la 13a settimana di gestazione si eseguono tutti gli esami del sangue e le prime ecografie, nonché i primi test di screening.
Il secondo trimestre va dalla 14a alla 27a settimana di gestazione. In questo periodo si concentrano i test di screening per rilevare il rischio di malformazioni e di anomalie cromosomiche. Nel caso questi diano esito positivo, si eseguono ulteriori esami diagnostici.
Il terzo trimestre va dalla 28a alla 41a settimana di gestazione. In questa fase si controlla che il feto sia in salute e, al contempo, si tiene sotto controllo la salute materna.
La prima visita dal ginecologo andrebbe fatta tra la 6a e la 12a settimana di gestazione. Fare la prima ecografia prima di questo periodo è inutile, il più delle volte: è normale che alla 5a settimana non si veda niente nell’ecografia. D’altra parte, dopo la 12a settimana è tardi per individuare una possibile gravidanza extraeuterina.
Se si hanno dubbi su quando sia avvenuto l’impianto, l’8a settimana è la migliore per fare la prima visita in gravidanza. In questo modo, si è sicuri di riuscire a vedere l’embrione, anche qualora si fosse impiantato un po’ dopo rispetto a quanto calcolato.
La prima visita prevede:
La prima ecografia si effettua dopo la 6a settimana per assicurarsi che l’embrione sia visibile. Durante la prima ecografia, il medico dovrebbe essere in grado di:
Se si aspetta l’11a settimana per la prima ecografia, è inoltre possibile vedere il cuoricino che batte e valutare l’epoca gestazionale. In base alle dimensioni del feto, il ginecologo è in grado di calcolare con precisione quando è avvenuto il concepimento; eventualmente, comunicherà una nuova data prevista per il parto.
Se la gravidanza ha un decorso fisiologico, si consiglia di fare 3 ecografie durante la gestazione, una per trimestre.
Gran parte delle donne incinte effettua però ben più di tre ecografie. Molti ginecologi approfittano della visita mensile per fare un’ecografia veloce, per controllare lo sviluppo fetale; è un di più innocuo per mamma e bambino, ma non strettamente necessario.
Ulteriori ecografie sono obbligatorie solo in casi di emergenza, come:
Quando la gravidanza si avvicina al termine, l’ecografia si potrebbe accompagnare al cosiddetto “tracciato”, ovvero la cardiotocografia. Si tratta di un esame per monitorare la frequenza cardiaca del feto e le contrazioni dell’utero.
In genere, a fine gravidanza si fanno 4 tracciati: il ginecologo ne prescrive infatti uno a settimana a partire dalla 37a. Se la gravidanza si protrae oltre il termine, è però possibile che ne prescriva uno al giorno, per tenere sotto controllo lo stato di salute del bambino. Lo stesso vale se vengono rilevate anomalie durante le ecografie, che fanno sospettare problemi cardiaci nel bambino.
Per eseguire l’esame si usa il cardiotocografo, un macchinario collegato a due sonde: una sonda a ultrasuoni, per rilevare il battito fetale; una sonda che analizza le contrazioni uterine. Il ginecologo usa una fascia per fissare entrambe le sonde all’addome della donna, affinché inviino i segnali alla macchina.
Per valutare il suo battito cardiaco, è meglio che il bambino sia sveglio. Se sembra che stia dormendo, la mamma può dare qualche colpetto alla pancia o mangiare qualcosa di dolce per svegliarlo. Una volta fatto, è normale che il suo battito sia un po’ irregolare; l’importante è che rimanga entro un range di 120-160 battiti per minuto.
Lo stesso esame si ripete anche durante il travaglio, per tenere sotto controllo lo stato di salute del bambino.
La curva glicemica si effettua tra la 24a e la 28a settimana di gestazione. Si tratta di un esame fastidioso, dato che consiste nell’ingerire una grossa quantità di zucchero in una volta sola. Capita che la paziente lamenti capogiri e nausea, qualche volta perfino vomito. Nonostante questo, la curva glicemica è un esame innocuo ed essenziale per misurare il rischio di diabete gestazionale.
Quando esegue la curva glicemica, la donna deve:
Se si rilevano alterazioni della glicemia, è probabile che la donna soffra di diabete gestazionale. Per questo motivo, la curva glicemica è importante soprattutto per chi presenta fattori di rischio come:
Gli esami visti sopra sono quelli principali da fare in gravidanza, i più conosciuti. Tra le tante prescrizioni mediche, ci sono però test meno noti eppure altrettanto importanti.
In gravidanza, gli esami ematochimici aiutano a misurare lo stato di salute della donna e del suo bambino. Da un lato, misurano i livelli di nutrienti presenti nel sangue, individuando eventuali scompensi. Dall’altro, individuano la presenza di anticorpi e di virus potenzialmente pericolosi per il feto.
L’esame di screening misura il rischio di trombosi in gravidanza, ovvero che si formino coaguli dentro i vasi sanguigni. Dato che il sangue di una donna incinta è sempre più denso del normale, il test potrebbe essere un po’ meno affidabile. Ecco perché sarebbe meglio eseguirlo prima di concepire.
Lo screening trombofolico è un esame facoltativo, necessario solo in presenza di fattori di rischio quali aborti ricorrenti o trombosi ereditaria. Secondo i medici, infatti, l’alto numero di falsi positivi servirebbe solo ad aumentare lo stress di donne in realtà sane.
In caso di esito positivo dell’esame, si prescrive l’assunzione di aspirina a basso dosaggio per fluidificare il sangue.
La beta hCG è una frazione della gonadotropina corionica umana, l’ormone prodotto subito dopo il concepimento. Fino alla 13a settimana di gestazione, i livelli dell’ormone aumentano; dopodiché, iniziano a decrescere.
I test di gravidanza domestici sfruttano proprio questo meccanismo e, di solito, danno esiti affidabili. Talvolta, però, i livelli crescono troppo lentamente perché i test delle urine rilevino l’ormone. In casi del genere, si procede quindi con un ulteriore esame del sangue.
L’emocromo è un esame che misura i livelli degli elementi che compongono il sangue, come l’emoglobina e le piastrine. Il test aiuta a individuare anomalie nel sangue che, se non affrontate per tempo, possono provocare aborto spontaneo ed emorragie interne.
L’esame è particolarmente importante qualora i due genitori abbia gruppo sanguigno o fattore Rh diverso. Serve infatti per evitare che il sistema immunitario materno reagisca contro il feto, cosa frequente quando donna e feto hanno due fattori Rh diversi.
Quando il fattore Rh materno è negativo e quello del feto è positivo, l’organismo può sviluppare anticorpi anti-D che attaccano i globuli rossi del bambino. Il test di Coombs serve proprio per verificare la presenza di questi anticorpi, in modo da bloccarli prima che danneggino il feto.
Per evitare che gli anti-D si formino, basta fare un’iniezione a base di immunoglobuline anti-D. La terapia non ha effetti collaterali e riduce il rischio di morte perinatale per il bambino.
Le transaminasi sono enzimi che trasformano gli amminoacidi in energia e in altri amminoacidi. Transaminasi troppo alte possono essere connesse a malattie epatiche, cardiache e muscolo-scheletriche.
Il rubeo test serve per verificare la presenza di anticorpi contro la rosolia. Benché la malattia sia quasi del tutto innocua per adulti e bambini, infatti, può provocare gravi danni nello sviluppo del feto. Contratta in gravidanza provoca nel feto:
Il vaccino della rosolia è obbligatorio a partire dal 2017, mentre prima era solo consigliato. Il rubeo test serve proprio per verificare se la paziente è già immunizzata contro la malattia; se così non fosse, la donna non può che cercare di evitare il contagio prestando attenzione.
Nel caso la paziente risultasse positiva alla rosolia, verrà tenuta sotto costante controllo. Se il contagio è avvenuto nelle prime 12 settimane, c’è l’elevato rischio che il feto subisca danni permanenti. Se invece la paziente è nelle prime 20 settimane di gestazione, è probabile che il bambino nasca con una forma congenita di rosolia. Dopo la 20a settimana, il pericolo è relativamente basso.
La toxoplasmosi è una parassitosi provocata da Toxoplasma Gondii; il parassita si trova sia nella carne sia nelle feci degli animali. Per questa ragione, infetta l’essere umano soprattutto attraverso:
Nell’adulto, l’infezione è simile a una piccola influenza; qualche volta, rimane addirittura asintomatica. La toxoplasmosi è pericolosa per il feto, però, dato che può provocare aborto spontaneo o malformazioni congenite.
Per proteggere il nascituro dalla toxoplasmosi, bisogna seguire alcune piccole regole di alimentazione. Inoltre, è importante eseguire un esame per la toxoplasmosi in gravidanza, di solito entro la 13a settimana di gestazione. Se si sta programmando una gravidanza, lo si può fare anche prima.
L’esame del sangue individua la presenza di anticorpi specifici, per verificare se a donna sia o meno immune al toxoplasma.
L’esame del citomegalovirus (CMV) serve per verificare la presenza di questo virus erpetico nell’organismo materno. Contratto in gravidanza, può oltrepassare la barriera della placenta e contagiare il bambino; nel 10% dei casi provoca ritardi fisici e cognitivi.
La sifilide è una malattia tutt’altro che scomparsa, motivo per cui tutte le donne incinte sono invitate a testarsi. Durante la gestazione, può infatti provocare gravi malformazioni nel feto.
Se non diagnosticata, l’HIV è trasmissibile anche al feto. In caso di esito positivo dell’esame, è quindi necessario sottoporsi a terapie antiretrovirali che evitino il contagio.
Quando la madre ha più di 35 anni, aumentano i rischi di malformazioni per il feto. Per questo motivo, il protocollo di esami in gravidanza prevede dei test per individuare eventuali difetti congeniti.
La translucenza nucale si esegue tra la 11a e la 14a settimana di gestazione. Il ginecologo espone l’utero ad ultrasuoni che si riflettono sui tessuti del feto, restituendo un’immagine che dovrebbe essere del tutto completa. “Dovrebbe”, appunto.
Nella regione posteriore del collo, c’è un’area che talvolta non riflette gli ultrasuoni, “translucente”. La causa è un accumulo di liquido tra la cute e i tessuti paravertebrali. In uno sviluppo fisiologico, l’organismo comincia ad assorbire il fluido intorno alla 10a settimana; l’accumulo dovrebbe scomparire intorno alla 14a settimana o poco dopo.
In base a quanto la regione è translucente, il medico riesce a misurare la quantità di liquido ancora accumulato. Se il liquido è troppo rispetto alla media del periodo, potrebbe essere sintomo di un’anomalia nello sviluppo. Nello specifico, un accumulo eccessivo è correlato a un rischio maggiore di sindrome di Down, cardiopatie, displasie scheletriche ed altri difetti congeniti.
Quale che sia il risultato della translucenza nucale, questo va confermato mediante test diagnostici specifici.
L’ecografia morfologica si esegue tra la 19a e la 21a settimana di gestazione, nel secondo trimestre; è la seconda tra le ecografie consigliate in gravidanza ed è quella da cui si traggono più informazioni. Dato che il feto è ormai cresciuto, è possibile osservare:
Durante l’esame morfologico, il ginecologo osserva tutti gli organi e prende una serie di misurazioni.
Inoltre il medico si assicura che le estremità si stiano sviluppando nel modo corretto, se possibile (a volte il bimbo tiene i pugni chiusi), e controlla il passaggio naso-labbro superiore. Quest’ultimo è importante per verificare la presenza di labbro leporino, il più delle volte causato dall’abuso di alcol in gravidanza.
Il bi-test è un esame che comprende translucenza nucale e dosaggio delle proteine Free Beta-hCG e PAPP-A (proteina plasmatica associata alla gravidanza). Livelli troppo alti di Beta-hCG e troppo bassi di PAPP-A sono infatti correlati a una maggiore incidenza di anomalie cromosomiche.
Benché l’unione dei due tipi di esami sia più affidabile della sola translucenza nucale, il bi-test rimane un test di screening. Per avere risultati al 100% sicuri, bisogna quindi eseguire ulteriori test diagnostici.
Come il bi-test, consiste nell’unione tra analisi del sangue e translucenza nucale. In questo caso, si misurano i valori di:
L’esame si esegue tra la 16a e la 17a settimana di gestazione, quindi qualche settimana dopo rispetto bi-test e translucenza. Anche in questo caso, si tratta di un esame di screening da accompagnare a test diagnostici.
Gli esami genetici specifici per la gravidanza individuano le alterazioni del DNA più comuni, come:
La villocentesi è un test prenatale invasivo, che comporta un rischio di aborto spontaneo dell’1-2%. Consiste nel prelievo di un campione di villi coriali, una parte della placenta nella quale è presente il DNA del feto.
L’analisi del materiale genetico dà risposte affidabili al 99%, utilizzabili per la diagnosi di difetti congeniti e di anomalie cromosomiche. La villocentesi viene usata anche per i test di paternità.
L’amniocentesi è un altro esame genetico affidabile ma invasivo: l’amniocentesi precoce, eseguibile a partire dalla 10a settimana di gestazione, comporta un rischio di aborto spontaneo intorno allo 0,5%.
In compenso, i risultati dell’amniocentesi hanno un valore diagnostico. Per questa ragione, la si usa qualora si sospetti la presenza di anomalie cromosomiche.
Il test del DNA fetale è un test di screening, ovvero valuta il rischio che il bambino sviluppi determinate problematiche. Ne esistono di diversi tipi: da quelli che si focalizzano sulle predisposizioni genetiche, fino a quelli che servono a rilevare eventuali anomalie cromosomiche. Consistono tutti nel prelevare un campione di sangue materno, dal quale isolare le cellule del feto.
Rispetto ai test diagnostici visti sopra, i test di screening prenatale sono non invasivi e quindi molto più sicuri. Per questa ragione, li si usa per misurare il rischio di anomalie genetiche; nel caso il rischio risultasse alto, si procede anche con i test diagnostici.
Gli esami in gravidanza per la sindrome di Down si eseguono in due fasi:
I test diagnostici disponibili sono la villocentesi e l’amniocentesi; per la diagnosi di trisomie come la sindrome di Down, si preferisce quest’ultima. Come visto sopra, entrambi gli esami sono invasivi e comportano un certo margine di rischio per il feto. Ecco perché si preferisce farli solo in caso di necessità, qualora i test di screening rilevino un rischio elevato.
I test di screening oggi disponibili sono:
Quest’ultimo si conferma quindi essere il più attendibile e rapido tra i test di screening: è eseguibile alla fine del primo trimestre, i risultati sono pronti nel giro di massimo 15 giorni e lascia tutto il tempo per eseguire eventuali test diagnostici.
Ormai è chiaro: per quanto siano tanto e qualche volta persino fastidiosi, gli esami da fare in gravidanza sono preziosi sia per la mamma sia per il bambino. Rappresentano infatti una sicurezza per la salute di entrambi.
"Siamo davvero rimasti soddisfatti, azienda seria, tutor sempre a disposizione, personale competente e professionale. Complimenti!"
Badalà/Lombardo (Cliente Sorgente)
Leggi i commenti lasciati dai nostri clienti.