Di cellule staminali si parla da decenni come rivoluzione della medicina rigenerativa. Di certo i trapianti di cellule staminali hanno cambiato il trattamento di alcuni tumori ematologici, hanno consentito lo sviluppo di trattamenti per riparare la pelle e la cornea danneggiate in caso di ustioni, ma non sempre – o non ancora – hanno rivoluzionato la pratica clinica, e il sogno di produrre organi on demand grazie a cellule capaci di rigenerarsi è lontano dal realizzarsi. E’ certamente in quella direzione che va la ricerca sulle cellule staminali, ma non solo, come ha ricordato oggi la Società italiana di medicina e chirurgia rigenerativa polispecialistica (SIMCRI) nel corso di un evento a Roma per fare il punto sulla ricerca nel campo. Studiare le cellule staminali, infatti, potrebbe aprire nuove branche in ambito oncologico, così come comprendere meglio quali sono i pazienti che potrebbero riprendersi prima dopo un evento cardiovascolare. Come? Con un prelievo di sangue, cercando di fotografare il numero e la qualità delle cellule staminali circolanti.
Guarda al futuro il filone di ricerca presentato da Eugenio Caradonna, presidente SIMCRI: quella di un regenerative score, una sorta di punteggio che, tenendo conto anche delle staminali circolanti nei pazienti, stimi la capacità rigenerativa del corpo. Come? Misurando le staminali che si trovano nel sangue, in modo simile a quanto si fa per la glicemia, azotemia o colesterolo. Ma non si tratta di procedere meramente a una misura numerica della loro abbondanza: l’idea è piuttosto di inquadrare questo valore con l’età, il livello di attività fisica e le condizioni fisiche e metaboliche del paziente per avere un indicatore del livello di benessere del paziente.
Il discorso, come sempre quando si parla di cellule staminali, è complesso. In primis perché con il termine staminali si identificano gruppi tra loro molto eterogenei di cellule, di diversa provenienza e potenzialità – esistono per esempio cellule staminali embrionali, ematopoietiche, mesenchimali, muscolari e della pelle – tutte accumulate da una caratteristica: la capacità di dare origine a diversi tipi di cellule, con diverse funzioni. Ma questa capacità rigenerativa intrinseca, questa plasticità – per dirla con le parole di Pietro Formisano dell’Università Federico II di Napoli e membro del comitato scientifico SIMCRI – non è l’unica caratteristica di interesse clinico: anche la capacità di rilasciare fattori, e quindi in questo modo di modulare il comportamento di cellule e tessuti, ha reso le staminali oggetto di ricerche in tutto il mondo.
Ma il discorso è ancora più complesso quando si parla di staminali e tumori, ha ricordato Francesco Cognetti, oncologo presidente della fondazione Insieme Contro il Cancro e membro del comitato scientifico SIMCRI: “In oncologia si parla di staminali in termini diversi: da una parte identificando le terapie cellulari usate da anni contro alcune forme di linfomi e leucemie a scopo terapeutico, dall’altra ci si riferisce alle staminali che alimentano la crescita dei tumori, le cosiddette staminali neoplastiche. Sono cellule che il tumore utilizza per crescere, una sorta di riserva naturale dei tumori. In questo caso l’interesse è quello di identificare, grazie alla genetica e alla biologia molecolare, delle basi molecolari che possano essere prese di mira con farmaci specifici, in modo personalizzato, aprendo la strada a nuovi trattamenti in futuro”.
Fonte: La Repubblica
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