All’inizio del film “Vi presento Joe Black”, William Parrish, il personaggio interpretato da Anthony Hopkins parla con la Morte e c’è questo scambio:
Morte: “Sì” è la risposta alla tua domanda.
William Parrish: Quale domanda?
Morte: Oh, Bill. LA domanda. La domanda che da tempo ti chiedi con crescente regolarità, nei momenti più strani. Quando fai fatica ad arrivare in fondo a una partita di pallamano, o quando prendi di corsa l’aereo per Delhi. Quando ti sei svegliato stanotte e ti sei accasciato a terra stamattina. (…)
William Parrish: Sto morendo?
Fatta eccezione per la comparsa di Brad Pitt nei panni di Morte, la storia di Alexes Harris inizia in modo simile.
Nel 2015, Alexes è una quarantenne attiva che ama tenersi in forma: mangia bene, si muove, segue un corso di spinning un paio di volte alla settimana. L’attività intensa la sempre fatta stare bene, anche nei momenti di stanchezza dati dal lavoro e dalla maternità. Finché le cose non iniziano a cambiare.
Un giorno, Alexes si rende conto di non riuscire più a stare al passo. I 20 secondi di sprint, che aveva sempre fatto senza grossi problemi, la lasciano senza fiato. La sua non è semplice stanchezza data da gli anni che passano, no: appena accelera, il respiro che si blocca in gola e i polmoni sembrano volerle scoppiare nel petto.
Una domanda, una paura, inizia ad affacciarsi dentro di lei: le sta succedendo qualcosa? Forse è meglio se ne parla con un medico.
Il suo dottore è abbastanza tranquillo: probabilmente è un caso di asma ad esordio tardivo. Non è bello, ma non è nemmeno qualcosa di cui preoccuparsi troppo. In ogni caso, le prescrive degli esami del sangue di routine, giusto per sicurezza.
Arrivano i risultati degli esami: i globuli bianchi sono un po’ troppo bassi. Meglio tenerli sotto controllo. Per sicurezza.
Forse davvero non è niente di che. Ma sì, sono solo paranoie.
Eppure il fiato è sempre di meno e la stanchezza aumenta e iniziano a comparire dei lividi strani, che Alexes non ricorda di essersi fatta. Anche se il medico le dice di non preoccuparsi, quella domanda si fa sempre più forte e presente: “sto morendo?”
La donna chiede un secondo consulto e un ematologo della UW Medicine le prescrive una biopsia del midollo osseo. Magari non è niente. O magari è un tumore del sangue.
A maggio 2016, la cartellina con i risultati della biopsia prende la forma di un’unica parola: “sì”. La sua “asma” è una sindrome mielodisplasica e le rimangono massimo 24 mesi di vita. Sta morendo e la sua unica speranza è trovare un donatore di midollo osseo compatibile.
Trovare un donatore di midollo è sempre difficile, ma per Alexes lo è ancora di più. Lei appartiene infatti alla popolazione detta “BIPOC” (persone nere, indigene e di colore): i pochi donatori presenti nei registri sono quasi tutti caucasici e in nessun modo compatibili con lei.
Pare quindi che Alexes seguirà lo stesso fato di Bill: vivrà gomito a gomito con la Morte, finché questa non la porterà via a suo marito e ai suoi due figli. E invece no, questa storia ha un finale diverso.
Uno dei medici di Alexes, il Dr. Filippo Milano, le suggerisce un’alternativa: le staminali del cordone ombelicale. Sì proprio quelle che si usano per curare i casi di tumore pediatrico. Il medico ha trovato un campione che potrebbe essere compatibile con la donna e che, una volta sottoposto a trattamento, potrebbe bastare per un trapianto.
A settembre 2016, Alexes ci prova: accetta il sangue cordonale di una neonata sconosciuta e aspetta. A dicembre, la biopsia dimostra che il tumore è regredito. Anno dopo anno, il suo midollo osseo nuovo di zecca continua a non mostrare traccia di tumore.
Alla fine, la risposta si è rivelata essere: “non ancora”. Alexes è viva, sta bene e lavora per convincere sempre più persone a non buttare il cordone ombelicale dei figli tra i rifiuti speciali.
Morte può aspettare.
Fonte: newsroom.uw.edu
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