La versione più recente di questi polmoni artificiali sarebbe a base di cellule staminali umane, e l’esposizione a SARS-CoV-2 ha fornito alcuni dati molto interessanti. In particolare, a seguito di questi esperimenti, gli alveoli (ovvero l’unità funzionale del polmone) artificiali hanno mostrato severi danni di tipo strutturale, e proprio questi modelli artificiali hanno permesso di studiarne meglio le caratteristiche, con uno sguardo più ravvicinato e attento.
Si è fatto uso in particolare dei pneumociti di tipo 2, cellule epiteliali in grado di autorinnovarsi e dare luogo alla produzione di surfattante (sostanza essenzialmente di natura lipidica che evita il collasso degli alveoli) e pneumociti di tipo 1.
Una volta introdotto il SARS-CoV-2 all’interno di questi polmoni artificiali, il team di ricercatori ha osservato che il virus ha infettato rapidamente i pneumociti di tipo 2, diffondendosi poi all’interno della struttura alveolare stessa.
L’infezione da coronavirus avrebbe inoltre portato all’innescarsi di un processo infiammatorio a livello degli alveoli stessi, riducendo in particolar modo la produzione e il rinnovo di surfattante, e portando a morte le cellule, in alcuni casi anche in zone non direttamente esposte a SARS-CoV-2. Si è concluso quindi che l’esposizione a SARS-CoV-2 porti alla produzione di interferoni, citochine, chemochine e all’espressione di determinati geni che conseguentemente attivano il meccanismo di morte cellulare.
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