Esistono centinaia di geni associati ai disturbi dello spettro autistico (Dsa), una complessa serie di patologie che interessano il comportamento, lo sviluppo sociale e la comunicazione di decine di milioni di persone in tutto il mondo. Capire con esattezza che effetto hanno quei geni e come si collegano ai Dsa è però estremamente difficile: “Nessuno può studiare un vero cervello umano mentre si sviluppa“, spiega Paola Arlotta, professoressa di biologia rigenerativa e cellule staminali alla Harvard University. Ma un nuovo approccio basato sullo sviluppo di gruppi di cellule cerebrali in laboratorio offre risultati promettenti.
Insieme ad alcuni colleghi di Harvard, del Broad Institute di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology (Mit), Arlotta sta lavorando sugli organoidi – gruppi tridimensionali di tessuto cerebrale sviluppati a partire da cellule staminali – dal diametro di pochi millimetri. Quando gli organoidi vengono lasciati crescere, iniziano a sviluppare diversi tipi di cellule cerebrali e si organizzano in reti primitive che imitano parte, ma non tutta, dell’architettura del cervello umano.
Gli organoidi sviluppati da cellule staminali donate da persone con Dsa erano già stati usati per studiare i disturbi in passato. Ma Arlotta e il suo gruppo di lavoro hanno fatto un passo avanti, come descrivono in un articolo pubblicato di recente sulla rivista scientifica Nature. Hanno creato organoidi geneticamente modificati della corteccia cerebrale umana, ognuno dei quali con una mutazione in uno dei tre geni che si ritiene siano legati all’autismo.
L’obiettivo era quello di capire esattamente come queste differenze nel DNA potrebbero contribuire ai cambiamenti nella struttura del cervello e nel comportamento che contraddistinguono la patologia. Arlotta e i suoi collaboratori sono partiti con un gene chiamato CHD8, iniziando a vedere le differenze prima del previsto: “Solo guardando l’ampolla dall’esterno era chiaro che gli organoidi ‘mutanti’ fossero più grandi“, racconta Arlotta. Questo fa eco a una precedente scoperta che aveva rilevato come alcune persone con Dsa siano affette da macrocefalia, una patologia che porta ad avere un cervello più grande in termini di volume.
Dopo aver fatto crescere gli organoidi, la prima fase dell’analisi prevedeva di sequenziare l’RNA dei neuroni che si erano sviluppati negli organoidi e confrontarlo con quello delle cellule degli organoidi non modificati sviluppati dalla stessa fonte di cellule staminali (l’RNA è una molecola messaggera che trasporta le istruzioni dal DNA alle parti della cellula che le eseguono).
Combinando il sequenziamento dell’RNA con le informazioni sui tipi di proteine formate dagli organoidi, i ricercatori sono stati in grado di determinare quali tipi di cellule cerebrali si stavano sviluppando e lo stato di maturazione di queste cellule. Arlotta e i suoi colleghi hanno notato immediatamente che c’era qualcosa di diverso. I tempi di sviluppo delle cellule negli organoidi modificati sembravano diversi rispetto a quelli con la versione “normale” del gene. “Abbiamo avuto un’epifania quando lavoravamo sul primo gene: abbiamo scoperto che c’erano due popolazioni di neuroni che si stavano sviluppando con i tempi sbagliati, troppo velocemente o troppo lentamente rispetto al resto della cellula“, racconta Arlotta.
Fonte: Wired, Nature
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