Il trapianto di cellule staminali del sangue potrebbe aiutare a ridurre la disabilità nelle persone con sclerosi multipla. Condizionale d’obbligo, perché il campo delle staminali è ancora sperimentale e perché i risultati che arrivano da uno studio appena pubblicato su Neurology, seppur incoraggianti, sono ancora preliminari. Mostrano che i pazienti con forme secondariamente progressive e con attività di malattia (le più difficili da trattare) che hanno ricevuto un trapianto di staminali del sangue accumulano meno disabilità rispetto a pazienti con le stesse condizioni ma in trattamento con farmaci. La ricerca è stata supportata dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (Fism).
Il trapianto di staminali ematopoietiche – ormai da anni una pratica dall’efficacia confermata nel trattamento di alcuni tumori del sangue – è invece un campo sperimentale quando si parla di sclerosi multipla. L’idea, come nel caso dei tumori, è di usare le cellule staminali per rimpiazzare le cellule del sangue, e quindi del sistema immunitario, impazzito nella sclerosi multipla. Il trapianto viene eseguito dopo aver sottoposto i pazienti a un trattamento chemioterapico per sopprimere le cellule anomale. Si tratta, anche per questo, di una terapia rischiosa e non adatta a tutti i pazienti, riservata finora solo a chi presenta forme aggressive di malattia. “I trapianti di staminali ematopoietiche già in passato hanno mostrato di poter ridurre la disabilità nelle persone con forme a ricadute e remissioni, mentre sappiamo meno sulle capacità di ritardare la disabilità negli stati più avanzati della malattia”, ha commentato la prima autrice dello studio, Matilde Inglese, responsabile del Centro sclerosi multipla – IRCCS Ospedale San Martino e dell’Università di Genova e membro dell’American Academy of Neurology.
Per capirlo Inglese e colleghi hanno condotto un’analisi retrospettiva, paragonando gli effetti del trapianto di staminali eseguiti in 79 pazienti con forme progressive e attive di malattia con quelli di pazienti nelle stesse condizioni, ma in trattamento con diversi farmaci (un campione di 1975 persone). A distanza di anni, scrivono su Neurology i ricercatori, si osserva che i pazienti trapiantati avevano meno disabilità, che questa insorgeva più tardi e che eventuali miglioramenti venivano mantenuti di più. Nel dettaglio: a cinque anni di distanza più del 60% dei pazienti trapiantati non era peggiorato in termini di disabilità, contro il 46% dell’altro campione. E miglioramenti si sono osservati, rispettivamente, nel 19% e nel 4% dei casi.
Emerge un’associazione tra trapianto di staminali autologhe e ridotta disabilità nei pazienti con forme progressive e con attività di malattia, concludono gli autori. Non sono dati però estrapolabili per tutti i pazienti, men che mai per quelli in cui la malattia non è attiva, né è possibile trarre conclusioni rispetto a pazienti in trattamento con farmaci diversi da quelli inclusi nel campione di riferimento, come ocrelizumab, rituximab o cladribrina, notano gli autori. Serviranno altri studi per esplorare il vero potenziale del trattamento con staminali ematopoietiche contro la sclerosi multipla.
Fonte: Repubblica
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