Nonostante si parli di paralisi cerebrale infantile al singolare, questa espressione si usa per indicare un gruppo di disturbi con una causa in comune: un danno cerebrale avvenuto nelle primissime fasi della vita.
In questo articolo approfondiremo le caratteristiche di questo insieme di disturbi, vedendone anche le cause e i nuovi trattamenti disponibili.
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ToggleCon “paralisi cerebrale” (PC) si definisce un disturbo neurologico che influenza le capacità motorie: il termine “paralisi” si riferisce alle difficoltà di movimento; il termine “cerebrale” si riferisce alla radice di queste difficoltà, che sono appunto le lesioni cerebrali.
Ciò che accomuna tutti gli individui colpiti da PC è la difficoltà nel controllare i muscoli. Data la sua origine, però, questa definizione si applica a una vasta gamma di problematiche, più o meno gravi a seconda dell’individuo. Non esistono due casi di paralisi cerebrale infantile esattamente identici tra loro, nonostante possano avere tanti sintomi in comune.
Talvolta, i danni cerebrali sono leggeri: il bambino controlla male i movimenti, quindi si muove in modo goffo; per il resto, però, ha una vita tutto sommato normale. Spesso, invece, le lesioni colpiscono vaste aree del cervello. In questi casi, la paralisi cerebrale si accompagna a disabilità intellettiva più o meno grave, perdita della vista e dell’udito, alterazioni scheletriche e articolari.
Per tutte queste ragioni, è difficile (se non impossibile) delineare un percorso comune a tutti i bambini affetti da questo tipo di disturbo.
La paralisi cerebrale infantile è frutto di lesioni cerebrali avvenute durante o nei mesi successivi al parto. Quali sono le cause delle lesioni, però?
A volte, la paralisi cerebrale è una tragedia imprevedibile. Altre volte, invece, è frutto di piccoli problemi di salute che si sommano e che aumentano i rischi per il bambino.
In alcuni di questi casi, la donna e i suoi medici possono giocare d’anticipo, riducendo il rischio di PC con controlli e trattamenti ad hoc.
L’abbiamo detto all’inizio: “paralisi cerebrale infantile” è un termine cappello, che comprende un gran numero di disturbi. Questi vengono classificati in base a come influiscono sulle funzioni motorie oppure in base alla parte del corpo interessata.
Questo tipo di classificazione si concentra sugli effetti della paralisi cerebrale sui muscoli, sia sul loro tono sia sul grado di controllo.
Alla classificazione vista sopra si somma questa, basata invece sulle aree del corpo interessate.
Le ultime due forme sono estremamente rare.
Nonostante le lesioni di verifichino durante il parto o nei mesi successivi, si manifestano quasi sempre dopo i 2 anni di vita. Per questa ragione, i medici consigliano di tenere i bambini a rischio sempre sotto controllo, così da segnalare la presenza di uno o più sintomi sospetti.
La diagnosi di paralisi cerebrale si base sull’osservazione di questi sintomi, sull’anamnesi e sull’esecuzione di una risonanza magnetica dell’encefalo. In base ai risultati, il medico può determinare il tipo di PC e la gravità.
Non è detto che una diagnosi di paralisi cerebrale sia una condanna: molto dipende dalla gravità del disturbo. Esistono infatti 5 livelli di gravità, in base ai quali cambia anche l’autonomia del bambino.
Uno studio di Eva Blair analizza i casi di paralisi cerebrale infantile tra il 1956 e 2011. Tra le diverse cose analizzate c’è proprio l’aspettativa di vita dei soggetti che, senza troppe sorprese, è aumentata nel corso dei decenni.
Se ci rifacciamo a questo studio e ad altri simili, oggi un bambino affetto da paralisi cerebrale lieve può vivere 70-80 anni. Più la diagnosi si aggrava, minore è l’aspettativa di vita, però: nei soggetti gravi, accompagnati da deficit cognitivi e da problemi respiratori, l’aspettativa di vita può scendere sotto i 50 anni. In alcuni casi, perfino sotto i 20 anni.
Per il momento, non esiste una cura risolutiva per le paralisi cerebrali infantili. Terapia fisica e occupazionale possono aiutare molto, ma non eliminano la radice del problema, ovvero il danno cerebrale. Agiscono sui sintomi, in sostanza.
Ad oggi, la speranza maggiore arriva dal trapianto di cellule staminali. Emblematica la storia di Brodie, che ha ricevuto le staminali del cordone del fratellino. Il suo è però solo uno dei tanti casi simili: la ricerca sta facendo passi da giganti e il sangue cordonale potrebbe essere la chiave.
In futuro, conservare il cordone potrebbe aiutare tanti bambini ad avere una vita migliore.
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