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Le staminali ci aiuteranno a vivere meglio

Bambina seduta sul ramo di un albero

La ricerca sulle cellule staminali ci riserva sorprese di mese in mese, in tutti gli ambiti della medicina. Uno degli aspetti più affascinanti, però, è come le staminali potrebbero aiutarci a vivere meglio, oltre che più a lungo.

Oltre la mera sopravvivenza

Quando si parla di terapie, ci si concentra (comprensibilmente) sul tasso di sopravvivenza. Si dà molto meno peso ad aspetti “secondari” come il benessere del paziente, la qualità della vita che i medici hanno appena salvato. Per fortuna, negli ultimi anni le cose stanno cambiando.

I ricercatori si stanno focalizzando sempre di più su terapie che non solo sconfiggano malattie e disturbi, ma che consentano alle persone di essere autonome e in salute. Molte di queste hanno le cellule staminali come focus, sia quelle del midollo osseo sia quelle del cordone ombelicale; queste ultime, in particolare, sembrano essere quelle più promettenti.

Il tema è stato toccato in molti degli interventi all’interno del webinar “The Future of Cord Blood Banking in the Eras of Immune Effector Cell Therapies and Regenerative Medicine”, ospitato dalla Cord Blood Association (CBA).

L’era delle terapie cellulari

Nel grande calderone delle terapie cellulare, quelle che stanno ottenendo maggiore approvazione riguardano le cellule T: cellule CAR-T, cellule NK/NKT e altre stanno emergendo con forza nel panorama. Secondo le statistiche presentate durante il webinar, tra il 2020 e il 2021 i prodotti di terapia cellulare attiva sarebbero aumentati del 38%.

Le cellule staminali usate all’interno degli studi hanno diverse provenienze, a seconda dell’obiettivo e della disponibilità: cellule allogeniche, cellule autologhe, staminali del cordone ombelicale. Queste ultime sono sicuramente quelle più flessibili, essendo meno soggette a rigetto. Inoltre, le staminali del cordone hanno già dimostrato di possedere proprietà tutte loro, come visto in un articolo sul futuro delle staminali.

Punta di diamante delle terapie cellulari è la Duke University. Dal 2008, l’università conduce sperimentazioni cliniche sul trattamento di disturbi neurologici pediatrici usando le staminali del cordone. I risultati, anche se non conclusivi, sono incoraggianti.

Dal 2008, decine di bambini colpiti da paralisi cerebrale hanno conquistato autonomia, tutto grazie al trapianto di cellule staminali del cordone. Per non parlare dei risultati ottenuti per rimielinizzare il sistema nervoso dei malati di sclerosi multipla, così da far regredire la malattia e migliorare le condizioni di vita dei pazienti.

Prevenire, prima che curare

I risultati ottenuti dalla Duke sono impressionanti, ma sono tutt’altro che un caso isolato. Emblematici anche i risultati della fase III del trial clinico rinominato “Congestive Heart Failure Cardiopoietic Regenerative Therapy (CHART-1)”, che vede le staminali del midollo osseo come protagoniste.

Anche in questo caso, i ricercatori hanno coinvolto pazienti con una condizione grave pregressa, ovvero l’insufficienza cardiaca congestizia (il cuore diventa sempre più debole, finché non riesce più a pompare sangue nell’organismo). Oltre che essere potenzialmente mortale, la condizione comporta un notevole peggioramento della qualità della vita, dato che rende impossibile condurre attività “faticose”.

I medici hanno trapiantato staminali mesenchimali in un gruppo di pazienti, analizzandone le condizioni per un anno. Tutti i coinvolti hanno mostrato notevoli miglioramenti: meno mortalità, certo, ma anche meno ospedalizzazioni e molta più energia nella vita di tutti i giorni.

Ci troviamo di fronte a un singolo studio, che andrà approfondito da altri ricercatori e in altri contesti. Ciononostante, il miglioramento dei pazienti è evidente, specie se messi a confronto con gli appartenenti al gruppo di controllo.

Il problema delle staminali

C’è solo un problema: dove reperire tutte le cellule staminali necessarie per portare avanti terapie del genere? Si tratta di cellule a loro modo rare, specie se parliamo delle staminali del cordone ombelicale.

Le staminali del midollo osseo sono, in teoria, molto più facili da reperire: si possono estrarre da qualsiasi soggetto adulto in salute. Di contro, bisogna trovare un donatore che sia il più possibile compatibile con il ricevente, se non si vuole incorrere nella malattia da rigetto. Le staminali del cordone sono meno soggette a questo problema, ma le si può raccogliere solo una volta nella vita, al momento del parto.

In Italia, la donazione pubblica ha dei grossi limiti: più del 90% dei cordoni donati vanno persi, a causa dei criteri qualitativi fin troppo stringenti. Questo senza tenere conto dei tanti che non prendono nemmeno in considerazione la donazione, per la mancanza di strutture adeguate o di informazione.

Se vogliamo davvero far avanzare le terapie di staminali, godendo dei vantaggi succitati, dobbiamo quindi rivedere il nostro approccio al sangue cordonale come individui e come società.

Ma come?

Sfruttare le staminali prima del parto

L’approccio più elementare è sfruttare il potere del cordone ombelicale prima del parto, proprio per rinforzare il sistema immunitario del nascituro e regalargli un’infanzia più sana e felice. È quello che succede quando si somministra il vaccino contro difterite, tetano, pertosse nel terzo trimestre di gravidanza.

Quando la mamma si vaccina, gli anticorpi materni passano da madre in figlio, estendendo l’immunizzazione al piccolo. È particolarmente evidente se si analizza il cordone ombelicale, dato che li si trova anche lì. Questo vale per la pertosse, ma anche per un vaccino “atipico” come quello per il COVID-19 a quanto pare.

In uno studio recente, i ricercatori hanno rilevato mRNA funzionale del vaccino Pfizer e Moderna nel cordone ombelicale di alcuni bambini; le mamme erano state vaccinate contro il COVID nelle settimane immediatamente precedenti il parto. I casi analizzati sono pochissimi, ma i risultati sono interessanti.

Se i primi dati fossero confermati, significherebbe che l’mRNA del vaccino ha le capacità di permanere in organi come la placenta e il cordone ombelicale, anche se frammentato. Un’eventualità che va studiata con attenzione.

La conservazione del cordone ombelicale deve evolvere

Come sottolineato da Marcie Finney, direttrice esecutiva del Cleveland Cord Blood Center, le esigenze per la conservazione del sangue cordonale sono cambiate; le dinamiche di raccolta e conservazione dovrebbero cambiare di conseguenza.

Fino a una ventina di anni fa, la priorità era raccogliere sangue cordonale di altissimo livello. Era un’esigenza più che comprensibile: l’uso principale era la ricostruzione del sistema immunitario e molte tecnologie per l’espansione delle staminali erano in fase embrionale. Oggi le cose sono cambiate ma, a quanto pare, molte banche nazionali (e anche molte banche private) non l’hanno compreso.

Come visto sopra, le potenzialità del sangue cordonale sono aumentate enormemente e, di conseguenza, è aumentato anche il numero di persone che potrebbero usufruirne. Siamo molto oltre il trapianto usato esclusivamente contro le leucemie infantili.

Sia le realtà pubbliche sia quelle private hanno il dovere di tenere conto di tutto questo nuovo percorso del sangue cordonale, sempre meno lineare e sempre più connesso con le strutture mediche. Ciò significa proporre soluzioni che vengano incontro a queste nuove esigenze, il che significa anche imporre criteri più ragionevoli e più in linea con le tecnologie attuali.

Per il momento, le biobanche nazionali non sembrano intenzionate ad andare in questa direzione, almeno in Italia. Non rimane che affidarsi alle realtà private più serie, che garantiscano la conservazione del sangue cordonale per qualsiasi esigenza futura. Realtà come Sorgente.

"Siamo davvero rimasti soddisfatti, azienda seria, tutor sempre a disposizione, personale competente e professionale. Complimenti!"
Badalà/Lombardo (Cliente Sorgente)

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