Dopo un trapianto di cellule staminali ematopoietiche aploidentiche, è possibile limitare gli effetti indesiderati dei linfociti T, grazie a un gene suicida inserito nei linfociti T del donatore. I linfociti T sono cellule molto importanti quando si parla di immunità cellulo-mediata, ovvero quella particolare risposta del sistema immunitario, a un antigene, che non coinvolge gli anticorpi, ma attiva altre cellule presenti naturalmente nell’organismo, come i linfociti T. Nei casi di trapianti di cellule staminali da donatore aploidentico, si rimuovono i linfociti T per limitare il rischio di rigetto, ma questa operazione aumenta anche il rischio di contrarre infezioni virali o opportunistiche. I ricercatori di Huston hanno analizzato la risposta del sistema immunitario in 12 pazienti affetti da leucemia e per limitare sia il rischio di rigetto, sia il rischio di contrarre infezione quando avviene la rimozione di cellule T, hanno ingegnerizzato le cellule T con un gene suicida. Il maggior numero possibile di cellule così modificate è stato infuso nei 12 pazienti in terapia dopo 30 e 90 giorni dal trapianto e lo studio ha evidenziato che l’uso di queste cellule ingegnerizzate, ha migliorato il controllo delle infezioni: le cellule hanno permesso una ricostruzione più rapida del sistema immunitario, rispondendo a virus patogeni come herpes virus, virus BK, citomegalovirus, virus varicella zoster e il virus di Epstein-Barr. I ricercatori del Baylor College of Medicine di Huston hanno quindi concluso che sia possibile limitare gli effetti indesiderati della terapia con cellule T attraverso l’ingegnerizzazione con un gene suicida delle cellule T di un donatore.
Fonte: Blood Journal