Primi risultati positivi per la terapia genica messa a punto dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano (SR-Tiget) per una rara malattia genetica dell’infanzia, la sindrome di Hurler, che compromette la crescita e lo sviluppo cognitivo e può portare alla morte già entro l’adolescenza per complicanze cardiovascolari e respiratorie. Forti della lunga e solida esperienza su altre malattie genetiche, i ricercatori dell’SR-Tiget sono riusciti a correggere in modo efficace il difetto genetico responsabile della sindrome. In un articolo* pubblicato sul New England Journal of Medicine hanno descritto come a due anni di distanza dal trattamento tutti gli otto bambini coinvolti finora nello studio stanno bene e hanno raggiunto tappe importanti del loro percorso di sviluppo. Lo studio, guidato dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon (SR-Tiget) di Milano, ha visto la collaborazione di un team multidisciplinare di specialisti che coinvolge l’IRCCS Ospedale San Raffaele, dove è stata somministrata la terapia, il Centro Maria Letizia Verga di Monza, per l’esperienza nello studio e trattamento di questa patologia, l’Università Bicocca per le analisi statistiche e l’Ospedale Meyer di Firenze per gli studi biochimici.
Cosa è la sindrome di Hurler
La sindrome di Hurler, detta anche mucopolisaccaridosi di tipo 1H, è dovuta alla mancanza di un enzima che degrada particolari zuccheri, i glicosaminoglicani, che accumulandosi possono danneggiare le cellule di diversi organi. Con un’incidenza di un caso su 100mila nuovi nati è considerata una malattia ultra-rara: attualmente sono circa 400 i casi noti nel mondo, 26 in Italia.
La terapia genica fornisce una versione corretta delle informazioni genetiche necessarie per produrre l’enzima mancante. Per prima cosa si prelevano, dal paziente stesso, le cellule staminali ematopoietiche, che danno origine a elementi del sangue come i globuli rossi e bianchi o le piastrine. Le stesse cellule ematopoietiche possono derivare da sangue cordonale se conservate alla nascita. Le cellule dei pazienti vengono poi messe a contatto con un vettore virale, un virus modificato in modo da non essere più capace di replicarsi, ma soltanto di entrare nelle cellule e trasportarvi le informazioni genetiche desiderate. Il virus di partenza utilizzato dai ricercatori è l’HIV, l’agente responsabile dell’AIDS. Negli ultimi anni i vettori derivati dall’HIV, di cui mantengono solo una piccola porzione della sequenza originale, sono sempre più usati come strumenti terapeutici e in questo senso l’Istituto San Raffaele-Telethon è leader nel mondo: di tutti i pazienti con malattie genetiche rare trattati ad oggi nel mondo con questo tipo di vettore, detto lentivirale, un terzo hanno ricevuto il trattamento a Milano. Una volta corrette, le cellule staminali vengono restituite ai pazienti attraverso una infusione nel sangue e possono raggiungere i vari organi, dove rilasciano l’enzima funzionante in grado di degradare le sostanze altrimenti tossiche.
«Gli effetti positivi della terapia genica sul metabolismo di questi bambini si sono visti presto – ha commentato Maria Ester Bernardo, responsabile dell’Unità funzionale di Trapianto del midollo osseo pediatrico dell’Ospedale San Raffaele e tra gli autori principali dello studio. «Le loro cellule hanno iniziato rapidamente a produrre grandi quantità dell’enzima, che ha ripulito organi e tessuti dai metaboliti tossici accumulati. Dal punto di vista clinico abbiamo osservato la progressiva acquisizione di nuove competenze motorie e cognitive tipiche della loro età, oltre a un’ottima crescita in altezza e a una riduzione di altri sintomi tipici della sindrome come rigidità articolare e opacità della cornea. La cautela è d’obbligo: sono passati soltanto due anni dalla terapia, dovremo continuare a osservare questi bambini per verificare che gli effetti positivi continuino nel tempo. Quanto osservato finora, però, ci fa davvero ben sperare».
Questo approccio di terapia genica è frutto di oltre dieci anni di ricerca dell’SR-Tiget, in cui ha svolto un ruolo cruciale Bernhard Gentner, responsabile dell’unità di ricerca traslazionale sulle cellule staminali e leucemie e primo autore dello studio appena pubblicato. Tra i fattori chiave c’è stata la precedente esperienza di successo su un’altra malattia genetica dovuta all’accumulo di sostanze tossiche “non smaltite”, la leucodistrofia metacromatica.
«Il nostro “processo” ci ha permesso di aumentare la quantità di enzima funzionante prodotto fino a 50 volte rispetto ai livelli normali – ha commentato Gentner – Questo potrebbe potenzialmente rappresentare un ulteriore vantaggio anche rispetto al trapianto di cellule staminali ematopoietiche, che ad oggi è l’unico trattamento che può in parte migliorare l’andamento della malattia, purché fatto precocemente e in presenza di un donatore compatibile. Al momento, però, non abbiamo ancora abbastanza dati in questo senso, serve più tempo». Conclude Alessandro Aiuti, vicedirettore dell’SR-Tiget e professore ordinario di Pediatria all’Università Vita-Salute San Raffaele, che ha coordinato lo studio: «il percorso è ancora lungo ma è incoraggiante che i tempi di sviluppo di queste terapie si stiano accorciando grazie all’esperienza accumulata in questi anni. Si potrà così ampliare l’orizzonte delle malattie trattabili con la terapia genica con cellule del sangue corrette come una “super” “fabbrica” dell’enzima mancante in vari tessuti, replicando così questo approccio ad altre patologie simili che oggi non hanno una cura efficace».
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Badalà/Lombardo (Cliente Sorgente)
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